CARLES CONGOST

Exhibition Itinerarios. 21th Botín Foundation Visual Arts Grants

INAUGURAZIONE: 

Dal 28 Marzo al 27 Maggio 2015 – Dalle ore 10.30 alle 21.00. 

DOVE: 

Botín Foundation’s Exhibition Space – Marcelino Sanz de Sautuola 3, Santander (SPAGNA).

A cura di BENJAMIN WEIL

Dal 28 marzo al 27 maggio 2015 presso lo spazio espositivo della Fondazione Botín a Marcelino Sanz de Sautuola 3, Santander, Spagna.

Tra il 28 marzo e il 31 maggio 2015, la sala espositiva della Fundación Botín di Santander ospiterà la 21a edizione della mostra Itinerarios, una vetrina annuale che espone le opere dei borsisti della Fondazione per le arti visive e che anno dopo anno offre approfondimenti rispetto allo stato dell’arte attuale.

Quest’anno la mostra presenterà le opere di nove artisti; cinque provengono dalla Spagna e gli altri quattro da Cuba, Portogallo, Stati Uniti e Venezuela. Nello specifico, questi artisti sono Carles Congost (Olot, 1970), Albert Corbí (Alcoi, 1976), Patricia Esquivias (Caracas, 1979), Jon Mikel Euba (Amorebieta, 1967), Rodrigo Oliveira (Sintra, 1978), Wilfredo Prieto (Sancti Spirito, 1978); Julia Spinola (Madrid, 1979), Justin Randolph Thompson (Peekskill, USA) e Jorge Yeregui (Santander, 1975).

Una mostra collettiva che riassume il lavoro prodotto da questi artisti durante tutto il periodo coperto dalla borsa, tra il 2013 e il 2014, e che aspira soprattutto a promuovere progetti di ricerca ambiziosi, fungendo da istantanea delle tendenze prevalenti di un determinato momento. Da qui l’aspetto sperimentale e il senso di libertà formale che ritroviamo in molti dei progetti in mostra.

Questa edizione di Itinerarios esplora la nozione di opera d’arte come “interfaccia” o mezzo che consente all’utente di visualizzare un processo. Questo concetto impregna la ricerca formale di questi artisti e plasma il loro interesse per la produzione di opere d’arte ‘aperte’ che possono gradualmente evolvere nel tempo. Tuttavia, consente loro anche di intraprendere una linea di ricerca concettuale iniziata decenni fa; quello che tende a mettere in dubbio l’idea dell’opera d’arte come prodotto, sottolineando il fatto che la forma finita nasconde in qualche modo il processo intellettuale e fisico della sua produzione.

I nostri ambienti di vita rispondono sempre più alla nostra presenza e richiedono da parte nostra un input sempre più attivo, grazie al nostro uso quotidiano di innumerevoli dispositivi che ci portano ad una costante interazione. Vent’anni fa è stato coniato il termine ‘estetica relazionale’ per descrivere una pratica artistica che considerava la partecipazione degli spettatori come un elemento chiave nella creazione di significato. Elaborata in modo da coinvolgere il visitatore, l’opera è stata concepita come un ambiente, un’installazione; gli artisti di oggi portano questo approccio un po’ oltre, considerando gli effetti dell’interattività come una parte fondamentale della cultura contemporanea.

Eppure queste forme più fluide possono anche riflettere la compressione del tempo, un bene che diventa sempre più prezioso con la nostra intensificata esposizione al flusso costante di informazioni, che a sua volta richiede maggiori capacità di elaborazione per assimilare la complessità del nostro ambiente.

Questo fenomeno ha influito sul processo creativo così come ha influito su altre attività umane. Fino a poco tempo fa, i computer che elaboravano insiemi di dati grandi e complessi (ad esempio calcoli o file video) richiedevano enormi quantità di tempo per completare il proprio compito. Man mano che le macchine diventano più potenti, questo periodo di latenza è gradualmente scomparso. Si potrebbe dire che ora è la mente umana che deve adattarsi a queste nuove condizioni, con la tremenda sfida che ciò comporta.

E sebbene la mostra d’arte possa essere uno dei pochissimi resti rimasti per la riflessione e la contemplazione, gli artisti continuano ad affrontare il nuovo stato della cultura. Ad esempio, il loro lavoro può assumere le sembianze di insiemi di documenti —testi, immagini o cimeli— offerti per la consultazione. I visitatori diventano quindi una sorta di ricercatori, traendo le proprie conclusioni attraverso la propria elaborazione degli elementi in mostra. Questo formato “documentario/installazione” riflette le riflessioni e le impronte lasciate da un processo di pensiero in corso che sembra difficile da esprimere in modo fisso: è una forma che suggerisce uno stato di cambiamento costante, molto simile a quello del mondo in cui vivere.

Secondo Benjamin Weil, curatore della mostra e direttore artistico del Centro Botín, il concetto formale di ‘assemblage’ potrebbe definire gran parte del lavoro esposto in questa ultima edizione di Itinerarios, ‘dove gli artisti combinano liberamente elementi di diverse media —pittura, scultura, fotografia, video e performance— per creare strutture narrative ibride o multistrato”.